Avete mai avuto modo di osservare i monaci tibetani? Quando ne ho avuto l’occasione, io sono sempre rimasta colpita dalla leggerezza con la quale sembrano affrontare la vita.
La naturale predisposizione con la quale si presentano spesso si fonda sugli insegnamenti del buddhismo ed, in particolare, su un principio fondamentale dell’intera filosofia orientale: tutto è in continua trasformazione.
Accettare questo concetto significa rendersi consapevoli che qualsiasi cosa ci accade è soggetta al cambiamento e che noi stessi siamo costantemente in cambiamento, ma soprattutto che se ci opponiamo e intralciamo questo movimento andiamo contro ad una delle principali leggi della nostra stessa esistenza.
Significa anche che quando ci troviamo di fronte ad una situazione statica, che non si sblocca, stiamo in realtà vivendo una condizione eccezionale in cui probabilmente non stiamo facendo ciò che possiamo o non stiamo vedendo ciò che dovremmo vedere per la nostra crescita personale e di conseguenza la nostra felicità.
Il cambiamento è la regola che ci governa ed è anche ciò che ci permette di raggiungere i nostri obiettivi: non è forse necessario mettersi in moto, agire, fare qualcosa di diverso, modificare un’abitudine o aggiungere un elemento per creare qualcosa di nuovo e realizzare i nostri desideri?
Se voglio essere in forma, devo cambiare alimentazione e adeguare l’esercizio fisico; per una relazione più soddisfacente, devo cambiare atteggiamento, aumentare la comprensione o discutere col partner; se voglio un lavoro migliore, devo cambiare prospettiva, sviluppare nuove competenze o cercare in un’altra direzione… è necessario un cambiamento.
E così anche le nostre sofferenze, viste sotto questa luce, diventano una tappa inevitabile della/per la nostra trasformazione e, al contempo, un passaggio che presto o tardi lascerà il posto a gioie e soddisfazioni.
Il cambiamento non è mai doloroso. Solo la resistenza al cambiamento lo è.
Buddha